Nel segno di Federico II. Arte pop e memoria nella ricerca di Massimo Melicchio
Massimo Melicchio collabora con Ellebi Lab sin dall’avvio del progetto, contribuendo a costruire un ponte tra immaginario pop e memoria collettiva. Dopo le prime creazioni che omaggiavano i grandi della Storia dell’Arte, la sua ricerca si è concentrata sul tema che anima Stupor Mundi, dando vita a shopper, tele e arazzi dedicati a Federico II, figura emblematica di conoscenza e contaminazione culturale.
Nei lavori realizzati per Ellebi Lab, Melicchio fonde elementi della tradizione locale e della cultura pop, trasformandoli in immagini capaci di raccontare, con leggerezza e profondità, la complessità del nostro tempo.
Nei tuoi lavori convivono ironia, cultura pop e riferimenti alla storia dell’arte. Come nasce questa cifra stilistica così riconoscibile, e quale ruolo ha il racconto nel tuo processo creativo?
La cifra stilistica della mia ricerca nasce quasi per caso. Tutto è iniziato quando, insegnando le lettere a mio figlio, ho cominciato a dire “P di Picasso, A di Accardi…”. Da lì è nata l’idea di associare a ogni lettera un artista, costruendo un vero e proprio abecedario dell’arte contemporanea. È stato un modo per giocare con la memoria visiva e, allo stesso tempo, per comprendere e far conoscere al pubblico il valore e il linguaggio dei grandi maestri.
Nel tempo ho iniziato a realizzare una serie di omaggi, replicando non tanto le opere, quanto le tecniche e i processi degli artisti che più mi hanno ispirato: come Carla Accardi, che dipingeva sempre in orizzontale e mai su cavalletto, Capogrossi, che creò le sue celebri sagome “a forchetta”, o come Warhol, la cui ripetizione seriale è diventata un simbolo stesso della cultura pop. È così che ironia, cultura visiva e storia dell’arte hanno trovato un equilibrio naturale nel mio lavoro.
Le opere per Ellebi Lab – arazzi, tele, shopper – trasformano la figura di Federico II in un segno modulabile, quasi un logo culturale. Credi che l’arte contemporanea possa aiutare a “rinfrescare” la memoria collettiva, restituendo nuove forme ai simboli del passato?
Il segno stilizzato dedicato a Federico II è nato dalla volontà di omaggiare una figura medievale che ha lasciato un segno profondo a Cosenza. Ho pensato al mito di Plinio sulla nascita della pittura come circoscrizione dell’ombra della persona amata: e quale personaggio più amato, legato al territorio, se non lo Stupor Mundi? Ho reso la sua sagoma modulare, quasi cinematografica, inserendo al suo interno omaggi a grandi artisti della storia dell’arte ma anche a simboli e figure significative della città.
Insieme a Ellebi Lab abbiamo scelto di tradurre questo segno in una serie di opere e oggetti – arazzi, bag, tele – pensati per attrarre un pubblico ampio e giovane, curioso di riscoprire il bello e la memoria attraverso linguaggi nuovi.
Credo che proprio qui stia la forza dell’arte contemporanea: nel saper rinnovare i simboli e i linguaggi del passato senza snaturarli, ma restituendo loro una vitalità diversa, più vicina al presente, capace di dialogare con la nostra identità collettiva.
In una delle opere più rappresentative della serie, l’immagine di Federico II accoglie al suo interno l’icona della Madonna del Pilerio, patrona di Cosenza. Come è nata questa scelta e che valore assume per te il legame con la città, la sua memoria e i suoi simboli?
Sì, in una delle opere della serie ho voluto omaggiare la patrona di Cosenza, la Madonna del Pilerio. L’idea in realtà era nata già un po’ di tempo fa: durante la mostra Lumen, allestita presso la Galleria Nazionale, avevo dedicato una sezione proprio a questa icona sacra. Ho sempre pensato fosse importante rappresentarla, perché la Madonna del Pilerio è molto più di un simbolo religioso: è l’immagine dell’invisibile, un ponte verso il trascendente e al tempo stesso una presenza profondamente radicata nella memoria della città. Attraverso i colori e la mia interpretazione pittorica ho cercato di restituire la sua forza simbolica e la dimensione spirituale che la circonda, traducendola in un linguaggio contemporaneo che potesse parlare ancora oggi di appartenenza e di luce interiore.
Come vivi la collaborazione con Ellebi Lab?
In modo a dir poco entusiasmante. È un confronto continuo, dinamico, acceso. Uno scambio vero: di opinioni, di idee – che noi artisti abbiamo in abbondanza – e che, per funzionare, devono trovare una forma concreta. Questa collaborazione mi sta aiutando proprio in questo: a concretizzare ciò che immagino.
Cosa ti ha convinto a tradurre la tua ricerca anche in oggetti d’uso quotidiano?
L’idea di fondo dell’arte pop, così come io la intendo, è proprio questa: avvicinare più persone al mondo dell’arte.
Penso a chi ama l’arte ma non può permettersi di acquistare un’opera unica: rendere il mio lavoro accessibile attraverso oggetti d’uso comune lo trasforma in veicolo di diffusione, non solo della mia arte ma anche di quella degli artisti che omaggio.
Secondo te, cosa significa portare l’arte fuori dai circuiti tradizionali? O meglio: portare più persone dentro il mondo dell’arte?
In parte ho già risposto, ma aggiungo una cosa: l’arte non comunica solo bellezza, ma anche sensibilità, messaggi, contenuti, valori.
Dico sempre che l’arte non salverà vite, ma può salvare molte anime. E questo, per me, è già tantissimo.
